Corea del Nord

Corea del Nord: Intervista a Francesco Alarico della Scala, segretario generale della KFA – Italia

Profondo conoscitore della Corea del Nord, Francesco Alarico della Scala propone ai lettori italiani una versione diversa di questo grande paese. Nato a Pinerolo nel 1996, è laureando in filosofia ed è da sempre un appassionato di storia e politica. Collabora con il giornale online “Oltre la Linea”. Attualmente è il segretario generale della KFA – Italia e il presidente del Centro studi sulle idee del Juché in Italia. Ha tradotto in italiano molte opere dei dirigenti coreani. Ha scritto il capitolo sulla Corea nel libro “In difesa del socialismo reale” di Alessandro Pascale. Oggi ci presenta questo nuovo libro collettivo pubblicato dalle Anteo Edizioni: “Kim Jong Un. Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare”.

Perché ti interessi di Corea del nord?

La mia curiosità verso il “regno eremita” nasce alla fine del 2011. Quando i telegiornali di tutto il mondo trasmettevano le immagini del funerale di Kim Jong Il con i cittadini di Pyongyang in lacrime. E immancabilmente li descrivevano come “vittime di lavaggio del cervello”. Allora mi sono chiesto: e se fossimo noi quelli fuorviati dalla propaganda? Mi ponevo questo interrogativo non solo per gusto del paradosso, ma perché esiste un oggettivo problema di conoscenza. Tutte le informazioni che riceviamo sono filtrate dai media mainstream ed estrapolate dal loro contesto culturale d’origine. Quest’ultimo va conosciuto nelle sue peculiarità irripetibili e non ingabbiato nelle nostre convinzioni precostituite. Così sono iniziati i miei studi sulle fonti primarie, sia pro- che contro – il regime, e mi sono fatto qualche idea su chi dice la verità e chi mente. Ho appreso a diffidare di chi ancora l’anno scorso ha fatto credere al mondo intero che Kim Jong Un era morto.

Quali sono le peculiarità della Corea del nord che ti attraggono?

Mi affascina la sua distanza culturale dall’Occidente. Confrontarsi con la Corea del nord è un’esperienza radicale di alterità, ed offre spunti tutt’altro che irragionevoli. Per i nordcoreani, ad esempio, è inconcepibile l’idea di uno Stato che, al termine del tuo percorso di studi, non ti assegni un lavoro conforme alla tua qualifica. Oppure che non dia la casa gratis ai senzatetto, o che imponga tasse e altri pagamenti per accedere a sanità e istruzione. Ammiro la straordinaria vitalità del regime socialista, che da più di settant’anni supera tutte le prove della storia. E il suo singolare sincretismo con i valori della tradizione confuciana, che salvaguarda l’armonia fra gli esseri umani. E a tal fine valorizza i corpi sociali intermedi: la famiglia, il lavoro e la comunità. I nordcoreani vivono la libertà come un mezzo per soddisfare i bisogni dell’uomo, non come un valore assoluto o un fine a sé stante. Hanno molto da insegnarci.

Perché una persona dovrebbe leggere questo libro?

Perché il nostro è uno dei pochi studi approfonditi e documentati in circolazione nel nostro paese. Negli ultimi anni sono uscite alcune opere di studiosi seri come Maurizio Riotto, Antonio Fiori e Piergiorgio Pescali. Ma la maggioranza delle pubblicazioni in tema di Corea del nord si limitano a ribadire una manciata di luoghi comuni. Gli autori non studiano le fonti di prima mano e ripetono quanto scritto da altri senza verificare alcunché. Così il lettore non apprende quasi nulla che già non sappia. Per non parlare dei testi di propaganda “umanitaria” prediletti dalle case editrici. Noi invece volevamo dire finalmente qualcosa di nuovo. Perciò abbiamo lavorato sui documenti e motivato ogni affermazione con una fonte precisa, secondo i canoni della ricerca accademica. Chi leggerà il libro non si troverà in mano il solito pezzo giornalistico che riassume la storia del paese in termini generici, bensì un lavoro di studio minuzioso.

Quali sono le tematiche trattate nel libro e su che cosa ti sei basato?

Il nostro libro è uno studio multidisciplinare condotto da più autori, ognuno dei quali si occupa di un settore specifico. E i temi spaziano dalla questione nucleare nel confronto con gli Usa all’ideologia del kimilsungismo-kimjongilismo. Dalla politica esterna – con particolare attenzione ai rapporti con Italia e Siria – al funzionamento dell’economia. Dalla biografia del leader e della sorella alla gestione dell’emergenza Covid-19. Fino allo sviluppo dello sport. Completano il volume quattro discorsi di Kim Jong Un in traduzione italiana. Io ho scritto il capitolo sull’economia. Ho attinto a piene mani non solo alle opere dei leader, ma anche agli scritti degli economisti locali e alle ricerche dei migliori osservatori stranieri. Senza di cui sarebbe impossibile capire in che cosa consistono le riforme varate da Kim Jong Un. Tanta stampa estera le presenta come un’apertura al capitalismo, ma i documenti raccontano un’altra storia e io ve ne metto volentieri a parte.

Qual è l’influenza cinese sulla Corea del nord dal 1953 ad oggi?

La Cina diede un contributo di primo piano alla vittoria contro gli imperialisti americani. Ma contrariamente a quanto vuole un diffuso luogo comune, la Corea non diventò mai un satellite di Pechino. Le truppe cinesi lasciarono il paese nel 1958 e Kim Il Sung eliminò facilmente i frazionisti legati ai paesi stranieri. A metà degli anni ’80 la Cina abbandonò i “prezzi d’amicizia” del mercato socialista, dunque nulla arriva in regalo; i due paesi si limitano a commerciare normalmente. Fuorché nel 2017, quando Pechino applicò le sanzioni dell’Onu perché l’escalation militare sulla penisola coreana danneggiava i suoi interessi commerciali. Ma di fronte al fatto compiuto del successo del programma nucleare e missilistico di Pyongyang, i cinesi sono tornati a sostenerle solo sulla carta. Oggi l’alleanza è ricostituita e più forte di prima, in opposizione all’imperialismo americano, ma sempre su basi paritarie e mai servili. Kim Jong Un va per la sua strada.

In quale misura la deterrenza nucleare nordcoreana ha favorito il processo di pace?

Ha avuto un peso decisivo. Da decenni la Corea del nord chiede agli Stati Uniti di firmare un trattato di pace e di porre fine alle ostilità. Ma l’hanno sempre snobbata in quanto “Stato canaglia” e rifiutato il dialogo diretto. Preferivano interagire con Pyongyang attraverso i Six-Party Talks e il ricatto delle sanzioni dell’Onu. Con il successo dei test della bomba a idrogeno e del missile Hwasong-15, da 13.000 km di gittata e dunque in grado di colpire l’entroterra americano, gli Usa hanno dovuto sedersi al tavolo delle trattative bilaterali. Naturalmente questo è solo l’inizio, gli americani non cederanno facilmente. Anche i collaboratori di Trump hanno cercato, senza successo, di imporre la “variante libica” del disarmo unilaterale. Ma se non altro la deterrenza nucleare garantisce per sempre la pace sulla penisola coreana. Perché ora per Washington è impossibile scatenare guerre senza subire rappresaglie sul proprio territorio.

Come sono visti da Pyongyang gli scontri a Washington del 6 gennaio?

La stampa del paese non ha rilasciato commenti ufficiali sulla vicenda. I cittadini nordcoreani sui social media hanno irriso i doppi standard della democrazia occidentale. Essa fomenta disordini all’estero e li presenta come “lotte per la libertà”, mentre in casa propria reprime le proteste e le equipara al terrorismo. Uguali critiche ha destato la censura imposta da Twitter, Facebook, Instagram, ecc. a Donald Trump. Ciò mostra come la “libertà d’espressione” tanto sbandierata valga solo finché il potere non si sente minacciato. Trump è un capitalista come gli altri, ma ha creato notevole scompiglio nella società e nella politica americana. Biden invece promette un’ostilità organizzata e senza compromessi. Ad ogni modo, la sostanza della politica americana non dipende dalla volontà di un singolo individuo alla Casa Bianca. È insita nella natura bellicosa dell’imperialismo e dai suoi interessi strategici. Questo non cambierà mai, come ha sottolineato Kim Jong Un al recente congresso del partito.

Quali sono le differenze fra il sistema elettorale nordcoreano e quello statunitense?

All’Assemblea popolare suprema siedono i deputati del Partito del lavoro di Corea, del Partito socialdemocratico di Corea, del Partito chondoista Chongu. È rappresentata anche l’Associazione dei coreani residenti in Giappone ed esistono deputati indipendenti. Ci sono più partiti che al Congresso americano! In Corea non esiste il sistema dei grandi elettori. Il parlamento elegge direttamente il governo, la Commissione per gli affari di Stato e il suo presidente, e può richiamarli se disattendono i mandati. Lo stesso vale per i deputati, sottoposti a vincolo di mandato nei confronti delle circoscrizioni che li hanno eletti. I rappresentanti del popolo non godono di privilegi burocratici speciali. I voti non vanno ai partiti ma ai singoli deputati, eletti ogni cinque anni nell’Assemblea popolare suprema e ogni quattro in quelle locali. Non è ammessa la sponsorizzazione da parte di compagnie private. Ogni candidato conta esclusivamente sull’appoggio di cui gode presso la sua comunità.

Perché circola così tanta disinformazione sulla Corea del Nord?

Le motivazioni sono sia politiche che pubblicitarie. Le notizie false partono dalla stampa conservatrice sudcoreana (Chosun Ilbo, Yonhap, Daily NK, ecc.) o dai servizi segreti. Qui sono evidenti gli scopi di propaganda politica. I giornalisti stranieri che le traducono e le diffondono in tutto il mondo vanno piuttosto a caccia di facile sensazionalismo. Sfruttano una zona franca in cui si può scrivere di tutto e non occorre eseguire alcun fact-checking. Esistono due tipi di menzogna mediatica. Da un lato le bufale più assurde e facilmente smascherabili  sullo zio sbranato dai cani, il taglio di capelli obbligatorio e simili. Dall’altro la narrativa sulla violazione dei diritti umani nei campi di lavoro con le testimonianze dei disertori e le risoluzioni dell’Onu. Si tratta di narrazioni molto differenti, pensate per un pubblico altrettanto diverso. Ma sono accomunate dalla mancanza di fonti verificabili. E le innumerevoli contraddizioni ed incongruenze ne minano l’attendibilità agli occhi degli studiosi.


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