Il capitalismo avanzato, come ho scritto nel mio ultimo intervento, favorisce l’immigrazione, semplicemente perché questa esercita una concorrenza a ribasso sui salari dei lavoratori autoctoni grazie alla sua funzione di “esercito industriale di riserva”. Ma non può farlo senza un’ideologia di giustificazione che renda la cosa non solo accettabile, ma buona e giusta, per cui diventa immorale chi nega il “diritto” di attraversare liberamente una frontiera.
Al di là dei distinguo, l’arcipelago accogliente nella sostanza teorizza l’obbligo di far entrare chiunque, rifiutando pertanto ogni separazione tra “migranti” economici e “migranti” rifugiati. Per gli “accoglienti” le frontiere devono quindi essere aperte, lo stato garantire gli ingressi ai suoi valichi di frontiera, le Ong agire indisturbate, anzi sostenute politicamente e se possibile finanziariamente. Ma gli “accoglienti” agiscono senza un’idea di mondo e un’idea di politica internazionale? L’esperienza ci insegna che le cose non stanno proprio così. Prendiamo ad esempio in considerazione due recenti situazioni di crisi, Libia e Siria, pur rimanendo da manuali i casi Jugoslavia Iraq Ucraina… e tutti quei paesi che hanno subito la “felice” esperienza delle “rivoluzioni colorate”; e scopriamo che in entrambe le circostanze gli “accoglienti” si schierano dalla parte degli aggressori ai legittimi governi libico e siriano, con tanto di retorica sulla necessità di liberare quei popoli dalle “tirannie” di Gheddafi e Assad.
La Libia di Gheddafi stava lavorando per creare una sorta di mercato unico tra i paesi africani, con una propria moneta, cosa che naturalmente non poteva andar bene a Washington, come a francesi e inglesi. Ricordiamo bene le parole di fuoco che Nelson Mandela usò alcuni anni addietro verso la presidenza clintoniana all’epoca dell’embargo alla Libia: «Arroganti! Il disprezzo per i neri è fisso nelle loro teste. Nessuno stato al mondo ha il diritto di arrogarsi il ruolo di gendarme mondiale e di dire agli altri cosa fare. Io intendo restare padrone di me stesso. Dopo tutto, Gheddafi ci ha aiutati quando eravamo soli: coloro che oggi ci dicono che non dobbiamo essere qui e ci consigliano di dimenticare il nostro amico di ieri, erano schierati con il nostro nemico, il governo bianco razzista del Sudafrica». Come è andata a finire lo sappiamo, Francia e Gran Bretagna (dagli Usa benevolmente guardati, dall’Italia colpevolmente assecondati) distrussero il paese portandolo nel caos più totale. I politici di riferimento dei nostri “accoglienti” all’epoca intervennero per sostenere l’aggressione alla Libia: Rossana Rossanda sul “Manifesto” esortava alla formazione di brigate internazionale contro il “dittatore” libico mentre Nichi Vendola – un signore che compra bambini con l’ignobile ricorso all’utero in affitto – diceva che occorreva impedire che «Gheddafi completi la sua macelleria civile». Quale sia lo stato attuale della “libera” Libia lo sappiamo bene. L’importante che regni il caos dove prima c’era uno stato sovrano e cooperante con gli altri paesi africani, uno stato dove lavoravano milioni di immigrati dell’Africa sub-sahariana.
Per la Siria di Assad la ferita è ancora aperta, ma qui le cose sono andate un po’ diversamente, sia grazie alla tenace ed eroica resistenza del popolo siriano sia grazie all’intervento dell’alleato russo, e Assad è riuscito a neutralizzare l’aggressione scatenata dall’America obamiana tramite i suoi mercenari: “ribelli democratici”, tagliatori di teste dell’Isis, curdi antisiriani, cooperanti alla Vanessa e Greta. E qui la galassia “accogliente” da che parte stava? Sicuramente dalla parte degli aggressori, miseramente coprendosi dietro la foglia di fico dei “femministi” curdi vendutisi agli americani in cambio del riconoscimento della Rojava.
Due soli esempi, ma ben dimostrativi, del fatto che la cosiddetta accoglienza è il braccio ideologico-umanitario del capitalismo avanzato a trazione globalista. La sua rete “volontaria”, dopo ogni aggressione a paesi non allineati, si mette al servizio della libertà dei flussi migratori, che la rottura degli equilibri preesistenti favorisce.
Pingback: Brevi note su immigrazione e integrazione - RadioMosca